Un riepilogo del quarto trimestre 2018: attenzione a cosa desiderate

9 Minuti di lettura 4 gen 19

Sommario: L’ultimo trimestre del 2018 ha visto una debolezza pronunciata in ambito azionario, che si è manifestata in due ondate.

A ottobre, i prezzi hanno perso quota in reazione alle aspettative di rialzo dei tassi negli Stati Uniti, e chiunque sperasse che un’attenuazione di quelle pressioni avrebbe dato sostegno ai mercati azionari è rimasto deluso:

il calo della tensione su questo fronte ha peggiorato l’atteggiamento nei confronti delle azioni, anziché migliorarlo. Le aspettative sui tassi a lungo termine si sono ridotte solo di fronte al riaccendersi dei timori per la crescita e il fatto che sia successo nonostante l’incremento del tasso ufficiale ha determinato l’appiattimento della curva dei rendimenti, con la famigerata inversione nel segmento delle scadenze brevi di cui tanto si è parlato:

Fra i principali mercati globali, quello statunitense è stato uno dei peggiori a dicembre, in netta controtendenza rispetto a gran parte del 2018, superato in negativo solo dal Giappone, che ha risentito del forte apprezzamento dello yen nel corso del mese.

Non è stato facile trovare fonti di diversificazione, ma vale la pena di notare la sovraperformance del mercato messicano, che riflette il comportamento idiosincratico degli asset di questo Paese che ho analizzato il mese scorso.

Una tempesta imperfetta

Sono diversi i motivi con cui si è tentato di spiegare il recente pessimismo sulla crescita: le flessioni subite a dicembre dai prezzi azionari sono state attribuite a vari fattori, tra cui i dati indicativi di un rallentamento dell’economia, il calo della liquidità globale, le persistenti tensioni sul piano commerciale e la minaccia di mosse politiche errate negli Stati Uniti in questo contesto.

Spesso quando esiste una gamma così estesa di cause possibili si tende a parlare di “tempesta perfetta” (basta leggere ad esempio quiquiquiquiquiqui e qui, per trovare citazioni di quest’espressione da inizio ottobre). E non è solo perché ormai è diventata un cliché usato di frequente dai commentatori, ma anche perché riflette effettivamente la confusione su ciò che sta davvero influenzando i mercati.

Quando vengono proposte tante razionalizzazioni diverse per spiegare i movimenti di mercato forse il motivo è che tutte sono potenzialmente valide, oppure che i commentatori si stanno arrampicando sugli specchi nel tentativo di dare una spiegazione a fenomeni che non hanno una causa nettamente identificabile.

Di sicuro è stata questa la sensazione a dicembre, quando il mercato statunitense ha visto oscillazioni intragiornaliere molto ampie (simili a quelle del contesto che avevo commentato nel primo trimestre dell’anno scorso) e una “tendenza a sprofondare” spesso non collegata al flusso di notizie, con ogni spiegazione dei movimenti di prezzo in apparenza plausibile un giorno e totalmente incongruente il giorno successivo.

Vorrei davvero che fosse Natale tutti i giorni?

Un andamento dei prezzi in apparenza così spiazzante può suscitare risposte pericolose da parte degli investitori, come ad esempio sviluppare la convinzione che i mercati (o almeno, quelli che hanno appena subito una correzione) “sappiano qualcosa di cui siamo all’oscuro”. Possibile che tutte quelle tesi pessimistiche sulle bolle del QE siano corrette? Forse gli algoritmi hanno cambiato i mercati? E magari tutti i dati sulla crescita e i profitti mondiali sono illusori?

Certo, potrebbe essere proprio così, ma attenzione a cambiare idea solo in risposta allo stress provocato dai mercati.

La tentazione opposta è considerare i movimenti di mercato semplicemente come il prodotto del periodo di festività: non è un caso che i commentatori parlino ancora di “rally di Babbo Natale” (come dicevamo qui nel 2016). Forse i propositi per l’anno nuovo incidono sul processo decisionale, o magari sono i bassi volumi a complicare ulteriormente il meccanismo di determinazione dei prezzi, fatto sta che i volumi tendono effettivamente ad essere inferiori nel mese di dicembre:

Tuttavia, come capita con tutte le regole empiriche, anche quando si rivelano valide c’è una scarsa probabilità di riuscire a trarne grossi guadagni (se tutti puntano su opportunità ovvie, diventa difficile tirarne fuori granché). In realtà, come ha mostrato Winton, praticamente non ci sono prove del fatto che le tendenze stagionali abbiano una qualche rilevanza significativa, al più si può dire che dicembre è storicamente il mese meno volatile.

Forse l’opportunità maggiore offerta dal periodo natalizio agli investitori che festeggiano la ricorrenza è l’assenza dall’ufficio, che distoglie l’attenzione da quei movimenti di prezzo momentanei in grado di inquinare il nostro processo decisionale.

Informazione e commodity

Per certi versi, l’enfasi concentrata sui mercati azionari ha fatto passare inosservate le flessioni altrettanto brutali subite dal petrolio nel corso del quarto trimestre, mentre nella seconda metà dell’anno anche il rame, oltre al greggio, ha registrato un forte deprezzamento.

L’aspetto interessante di questa fase è la differenza rispetto all’interesse ossessivo per le commodity come indicatore della crescita mondiale all’inizio del 2016. Abbiamo già parlato in precedenza di come il livello di attenzione vari nel tempo:

Questo non vuol dire che dovremmo essere più o meno preoccupati per le commodity oggi di quanto non fossimo allora (anche se le tesi secondo cui il prezzo del petrolio in calo ha maggiori probabilità di esercitare un effetto frenante che non di stimolo per l’economia statunitense risultano al momento più convincenti), ma mette in luce l’esigenza di non lasciarsi ossessionare dal tema del giorno (e non ignorare le questioni trascurate dalla copertura mediatica).

Il processo con cui gli investitori (e soprattutto i commentatori di mercato) scelgono gli argomenti su cui concentrare l’attenzione può contenere un elemento comportamentale rilevante: forse ci sono più “storie interessanti oggi” oppure, avendo già assistito a un collasso dei prezzi petroliferi, questo fenomeno ci spaventa meno che in passato.

Uno sguardo in avanti

I primi giorni del 2019 sono stati caratterizzati dalla stessa volatilità azionaria che ha chiuso il 2018: negli Stati Uniti le prime due sedute dell’anno hanno segnato il peggior esordio dal 2000 e anche l’Asia non iniziava così male dal 2016 . Se questo andamento dovesse persistere, possiamo aspettarci articoli in cui si sostiene che “quando l’anno comincia con x, di solito la performance annua risulta pari a y”. Chiaramente sono da ignorare, così come dovremmo evitare la tendenza a estrapolare il passato recente. La debolezza vista all’inizio del 2016 ha gettato le basi per i solidi guadagni ottenuti dagli investitori azionari, mentre l’ottimismo che ha salutato le prime fasi del 2018 oggi è morto e sepolto.

Come da tradizione dei mercati, le aspettative di consenso saranno smentite più e più volte. Per gli investitori (volendo usare un mio cliché per pigrizia), la cosa migliore è aspettarsi una sorpresa nell’anno entrante e il modo più efficace di affrontare ogni cambiamento e capovolgimento di fronte è mantenere un approccio di investimento disciplinato.

By Stuart Canning

Il valore e il reddito degli asset del fondo potrebbero diminuire così come aumentare, determinando movimenti al rialzo o al ribasso del valore dell’investimento. Non vi è alcuna garanzia che l’obiettivo del fondo verrà realizzato ed è possibile che non si riesca a recuperare l’importo iniziale investito.

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